Milano, la capitale del berlusconismo. Questa definizione ingrata è stata per molti anni proposta dai media senza che nessuno potesse obiettare alcunché, nonostante Milano sia stata invece la capitale del riformismo italiano per tutto il Secondo Dopoguerra (e anche la prima grande città italiana governata dai socialisti già nel 1914). Eppure Milano è stata per davvero la capitale della destra berlusconiana, che ha gettato le sue radici nella city finanziaria grazie alla mediazione di una borghesia di arricchiti nata negli anni Ottanta attorno alla speculazione del mattone e consolidatasi con il motore eccezionale del settore pubblicitario e televisivo, di cui Berlusconi è stato il grande prestigiatore.
Una Milano “isola neoliberista” in un mare consociativista di stampo democristiano quale è stata l’Italia della Prima Repubblica, che ha poi proposto il proprio modello falsamente vincente a tutto il Paese con la celebre “discesa in campo” del 1994 e la “rivoluzione liberale”.
Eppure questa città ha saputo cambiare. Molti cittadini che per tanti anni hanno votato la destra hanno poi scelto un sindaco molto differente. Un sindaco che non ha costruito il proprio consenso su un’idea di contrapposizione generazionale e che anzi aveva alle spalle già una lunga carriera politica e personale. Un sindaco, Pisapia, che non ha avuto bisogno di prendere in prestito battaglie proprie della destra, e che non ha certo dimostrato sudditanza psicologica nei confronti del neoliberismo imperante.
Giuliano Pisapia ha vinto le elezioni prendendo molti voti dai cittadini delusi dal berlusconismo, ma costruendo il consenso attorno a una visione della città opposta a quella di chi l’ha preceduto: civismo e solidarietà. Egli è riuscito a portare consenso attorno ad una visione della città e della società antitetica a quella alla quale per 18 anni si erano affidati i milanesi, e forse può insegnare qualcosa a chi oggi pretende di inseguire il consenso degli ex elettori del PDL con temi e ideologie definite dallo stesso Alfano “molto simili alle nostre[1]”.
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