Il Circolo Universitario Antonio Greppi è un Circolo ambientale dei Giovani Democratici di Milano.

Il Circolo nasce per fornire a tutti gli studenti e dottorandi, milanesi e fuorisede, un polo di aggregazione sociale, costruzione politica e promozione culturale incentrato sulle competenze e i saperi peculiari del mondo universitario milanese. Il Circolo Universitario è aperto alla partecipazione di tutti gli studenti universitari, senza alcuna discriminazione rispetto all’Università di provenienza.

Il Circolo Universitario è intitolato ad Antonio Greppi, il primo Sindaco della Milano liberata, scelto dal CLN nel 1945 per ricostruire la città dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale e ricordato dalla Cittadinanza per aver adempiuto al difficile compito ponendo la cultura come tratto saliente di una rinascita civica e civile.

martedì 25 settembre 2012

Festa regionale dei GD

VENERDI' 28

h 21 dibattito con Matteo Orfini (Resp. cultura e informazione PD) e Alessandra Moretti (vicesindaco PD Vicenza)

A seguire Funky music con i Montecarlo Jungle


SABATO 29

h. 14.30 Assemblea regionale GD Lombardia
h. 18.30 Amministrare: tante idee e poche risorse 
con
Enrico Rossi (presidente di regione Toscana)
Piero Fassino (sindaco di Torino)
Daniele Bosone (Presidente Prov. Pavia e senatore)
modera Giacomo d'Arrigo (presidente Anci Giovani)


h. 22.00 musica con i Matrioska


DOMENICA 30


h 18.30 Donne al lavoro: verso i traguardi Europei
Eleonora Voltolina (repubblica degli stagisti)
Carla Cantone, (Segretaria nazionale SPI CGIL)
Alessia Mosca (deputato)

h. 21.00 musica con Collywobbles e Bad candies

martedì 18 settembre 2012

Verbale della riunione del Circolo - 17.09.2012

Sono presenti: Aprigliano, Cannarozzo, Carlino, Capria, Costantino, Costelli, Fioravante, Gatti, Rossi, Turco. Presiede la riunione il segretario del Circolo.

Odg:
1) Comunicazioni
2) Programma di Matteo Renzi per l'università
3 - 4 - 5) Scadenze, appuntamenti
6) Varie

lunedì 17 settembre 2012

Sondaggi USA2012




OBAMA: 284
ROMNEY: 206
TOSS-UP: 48

ROMNEY SOLID: 167 EV (+27)
ROMNEY LIKELY: 24 EV (-17)
- MISSOURI (MO10): ROM +6,4% (+1,5%+++ entra nei LIKELY +++

ROMNEY LEANING: 15 EV (-10)

NORTH CAROLINA (NC15): ROM +4,8% (+2,2%

TOSS-UP: 48 EV (+6)
FLORIDA (FL29):  OBA +0,4% (+0,3%)
VIRGINIA (VA13): OBA +0,6% (-0,3%)
IOWA (IA06): OBA +1,9% (-0,5%) +++ entra nei TOSS--UP +++

OBAMA LEANING: 47 EV (-22)
OHIO (OH18): OBA +2,8% (+0,7%)
COLORADO (CO09): OBA +3,7% (+0,2%)
WISCONSIN (WI10): OBA +3,2% (-0,3%)
NEW HAMPSHIRE (NH04): OBA +4,6% (-0,6%)
NEVADA (NV06): OBA +5,4% (-0,6%)

OBAMA LIKELY: 51 EV  (+16)
MICHIGAN (MI16): OBA +7,8% (+3,0%+++ entra nei LIKELY +++

OBAMA SOLID: 186 EV (=)
  
TOTALE ROMNEY: 206 EV (=)
TOTALE OBAMA: 284 EV (-6)
TOSS-UP: 48 EV (+6)
 
VOTO POPOLARE: OBAMA +2,1% (-1,1%)

domenica 16 settembre 2012

Perchè quando Pisapia prende voti a destra va bene?


Milano, la capitale del berlusconismo. Questa definizione ingrata è stata per molti anni proposta dai media senza che nessuno potesse obiettare alcunché, nonostante Milano sia stata invece la capitale del riformismo italiano per tutto il Secondo Dopoguerra (e anche la prima grande città italiana governata dai socialisti già nel 1914). Eppure Milano è stata per davvero la capitale della destra berlusconiana, che ha gettato le sue radici nella city finanziaria grazie alla mediazione di una borghesia di arricchiti nata negli anni Ottanta attorno alla speculazione del mattone e consolidatasi con il motore eccezionale del settore pubblicitario e televisivo, di cui Berlusconi è stato il grande prestigiatore.
Una Milano “isola neoliberista” in un mare consociativista di stampo democristiano quale è stata l’Italia della Prima Repubblica, che ha poi proposto il proprio modello falsamente vincente a tutto il Paese con la celebre “discesa in campo” del 1994 e la “rivoluzione liberale”.
Eppure questa città ha saputo cambiare. Molti cittadini che per tanti anni hanno votato la destra hanno poi scelto un sindaco molto differente. Un sindaco che non ha costruito il proprio consenso su un’idea di contrapposizione generazionale e che anzi aveva alle spalle già una lunga carriera politica e personale. Un sindaco, Pisapia, che non ha avuto bisogno di prendere in prestito battaglie proprie della destra, e che non ha certo dimostrato sudditanza psicologica nei confronti del neoliberismo imperante.
Giuliano Pisapia ha vinto le elezioni prendendo molti voti dai cittadini delusi dal berlusconismo, ma costruendo il consenso attorno a una visione della città opposta a quella di chi l’ha preceduto: civismo e solidarietà. Egli è riuscito a portare consenso attorno ad una visione della città e della società antitetica a quella alla quale per 18 anni si erano affidati i milanesi, e forse può insegnare qualcosa a chi oggi pretende di inseguire il consenso degli ex elettori del PDL con temi e ideologie definite dallo stesso Alfano “molto simili alle nostre[1]”.

sabato 15 settembre 2012

Una risposta a Gramellini


Ospitiamo per la prima volta un post tratto da Lo Spazio del Conflitto, un blog molto socialdemocratico e ben poco succube del neoliberismo.
"Come osa?" Piuttosto male, Gramellini!
Con la sagacia dei maître à penser e la sicurezza di chi è abituato a vedersi applaudire,Gramellini commenta nel pensierino quotidiano di oggi la querelle sul Renzi-in-cerca-dei-voti-della-destra.
Stupito, il giornalista polemizza contro chi a sinistra fustiga questa caccia; in fondo lui ha tanti amici in Inghilterra o in Usa che han votato prima Reagan o Thatcher, poi Blair o Clinton. In Italia invece la guerra civile tra i due schieramenti, collegata al solito vizio italico di dividersi in tifoserie come con il calcio, è stata enfatizzata dal maggioritario che ti costringe a scegliere non chi vuoi ma chi temi meno;  il nostro pensatore termina infine il suo sproloquio morbido (nei toni) con l’agghiacciante (per i contenuti) profezia finale: “arriverà il giorno in cui anche in Italia le elezioni non saranno più un derby né un’ordalia, ma una scelta fra due modi diversi di fare le stesse cose.”
Se l’inizio è quantomeno accettabile, va bene sono primarie aperte ed è vero che la mobilità elettorale in Italia è scarsa, e vogliamo credere che siano state le ragioni di spazio ad aver impedito al maestro di discutere il senso delle primarie con le regole all’Italiana (forse con gli americani che conosce lui questo aspetto non lo ha mai affrontato), e se volessimo pure scusare il paragone calcistico come un ammiccamento ai fan, perché agli italiani piace tanto veder fustigati i vizi degli italiani, ci sembra opportuno soffermarci su un paio di punti.
Noi non conosciamo i compagni di briscola anglosassoni, ma vorremmo segnalare al maestro che pure in Inghilterra vi è il maggioritario, che quindi non è l’untore dello scontro al meno peggio. Non pretendiamo di discutere poi della subalternità al neoliberismo che avrà fatto anche vincere la sinistra nei 90s (e attrarre elettori dell’altro schieramento) ma che non le ha permesso di cambiare granché, e forse la prossima volta che andrà a trovare gli amici americani potrà farsi raccontare dei Reagan Democrats oppure del Democratic Leadership Council.

La chiosa finale, la profezia con la quale vuole rassicurare il medio borghese lettore del suo quotidiano sulle magnifiche sorti e progressive, lascia prostrati: ebbene, auspichiamo che verrà un giorno in cui non vi saranno più interessi diversi, più conflitti sociali, e vorremo tutti le stesse cose?! Quanta ingenuità. Noi non crediamo che possa esistere un mondo senza politica; un mondo senza politica è un mondo in cui hanno vinto alcuni interessi e i perdenti non hanno più nemmeno il desiderio di combattere. E la politica non è fredda tecnocrazia, la differenza non si misura dalla maggiore o minore abilità a realizzare le stesse cose. Davvero uno speculatore finanziario abbia gli stessi interessi di un operaio? Davvero la multinazionale proprietaria dell’alcoa ha gli stessi interessi dei lavoratori che oggi rischiano il licenziamento? Davvero infine la differenza tra destra e sinistra è il modo di operare le scelte, non le stesse scelte, poiché non vi sono due modelli differenti di società che si combattono?
E per tornare a Matteo Renzi, semplicemente vorremmo che conquistasse gli elettori di destra non perché è giovane, caccia D’Alema e sta con Marchionne, ma perché riesce a  far vincere nella società un modello culturale diverso che conquista anche chi prima la pensava diversamente, modello che purtroppo nella sua foga rottamatrice ancora non ci ha mostrato; perché aggrega il piccolo borghese che capisce che il successo e l’arricchimento individuale non sono gli scopi su cui basare la vita; perché la casalinga di Voghera da troppi anni davanti alla televisione si alza e la spegne; e non solo perché Giorgio Gori ora fa lo stesso programma, ma con Renzi e non più con Berlusconi.

Alexander Verry

lunedì 10 settembre 2012

11 settembre 1973

In memoria di Salvador Allende
«Come Giacomo Matteotti, andò consapevolmente incontro al suo tragico destino. Egli, come Matteotti, ha gettato tra la libertà e la dittatura il suo corpo - ridotto ormai a una macchia di sangue dalla selvaggia aggressione - perché esso fosse il primo spalto della lotta dei cileni contro la dittatura.»
Sandro Pertini

domenica 9 settembre 2012

Bill Clinton e USA2012


La campagna per le Elezioni Presidenziali negli U.S.A. sta entrando nel vivo e, a pochi giorni dall’incoronazione di Mitt Romney a Tampa quale campione del Partito Repubblicano, si è aperta a Charlotte la convention Democratica che investirà Barack Obama del compito di riconfermare per altri quattro anni la propria presidenza.

Lasciando alla stampa internazionale il compito di analizzare il duello a distanza tra i due candidati (proprio stasera il presidente uscente terrà il suo discorso), vorrei proporre una riflessione sul discorso di Bill Clinton e sulle sensazioni da esso suscitate tra i delegati democratici e tra tutti gli osservatori internazionali, tra i quali nel nostro piccolo ci ascriviamo.
Sono sostanzialmente due i fili rossi intrecciati nella riflessione suscitata dall’ascolto delle parole del vecchio presidente, uno di natura politica e uno di natura sentimentale. Il Partito Democratico e il Partito Repubblicano non hanno una differente ideologia, bensì una differente declinazione di questa ideologia nelle politiche pratiche attuate e da attuarsi. Entrambi i partiti condividono infatti i principi cardine del pensiero liberale e, nella loro visione economica, entrambi sostengono tesi liberiste e mercatiste. Sia i Dem che il GOP si ispirano al grande ideale dell’American Dream, quel sogno per cui tutti possono realizzare le proprie aspirazioni nella “promised land” degli Stati Uniti d’America, ed entrambi i partiti credono fermamente nella superiorità morale della propria Nazione e del compito ad essa assegnato (da Dio e dalla Storia) nella redenzione del mondo.

Posto quindi che entrambi condividono la stessa visione del mondo, è del tutto evidente che l’applicazione pratica dei propri ideali diverga sensibilmente nella prassi politica. Non è questo il luogo per dilungarsi sulle divergenze tra le amministrazioni Reagan e Clinton o le amministrazioni Bush e Obama, ma è interessante tuttavia ricordare quanto spesso presidenti di un partito abbiano fatto proprie le battaglie politiche degli avversari (la riforma del welfare di Clinton “scippata” al GOP o la normativa sulla finanza del 2008 varata dall’amministrazione Bush con i voti dei Dem e anche ricordata nel docu-film “Too big to fall”, per fare due esempi recenti). Un’altra conseguenza di questa condivisione di fondo della stessa ideologia comporta un duello politico incentrato spesso su tematiche estremamente lontane dalle logiche europee di costruzione del consenso (ad esempio il ruolo della First Lady, determinante nella scelta di un candidato presidente piuttosto che del suo sfidante, o la prestanza atletica del candidato stesso).

 Il punto fondamentale della riflessione riguarda però quel momento in cui l’ideologia fondamentale entra in crisi insieme al sistema economico da essa forgiato: il Partito Democratico, consapevole che la crisi iniziata nel 2008, e tutt’altro che terminata, deriva da una mancata regolamentazione della finanza e dalla speculazione selvaggia, sta cercando di proporre temi tipicamente socialdemocratici (la redistribuzione della ricchezza tramite tassazione progressiva su tutti) cercando però in tutti i modi di non apparire un partito socialdemocratico agli occhi dell’elettorato, termine visto alla stregua di un insulto (e come tale impiegato dai Repubblicani) nella società americana. La democrazia americana non ammette ideologie diverse da quella prestabilita, pena l’emarginazione politica, e quando quell’ideologia fallisce i suoi obiettivi è molto difficile smarcarsene.

La seconda riflessione riguarda invece il vecchio Bill Clinton, ed è una riflessione più sentimentale che politica. Egli ha incarnato il senso di rivincita di una generazione e di intere classi sociali dimenticate, capaci di infrangere l’enorme consenso repubblicano nato con l’era di Ronald Reagan e proseguita dal suo vice Geroge Bush Senior, e di portare alla Casa Bianca un democratico di seconda linea, proveniente da uno Stato marginale come l’Arkansas, con una storia politica alle spalle fatta di successi e insuccessi. Clinton è stato tutto questo nel 1992, “il primo presidente nero”, perché dodici anni di amministrazione repubblicana avevano completamente rimosso dall’agenda politica americana la parificazione sociale, ma è stato anche il presidente di molti compromessi (perché costretto alla coabitazione con un Congresso a maggioranza repubblicana, e molto agguerrita), uno tra tutti quello sul mercato del lavoro con il quale costrinse l’opposizione repubblicana all’afasia, sottraendole una battaglia decisiva.

Clinton ha incarnato nella sua figura gli anni Novanta nella stessa misura in cui Reagan ha incarnato gli anni Ottanta, costruendo un’immagine di serenità e prosperità sorrette dalla crescita economica derivante dallo sviluppo del settore delle nuove tecnologie informatiche. Ha superato indenne le sconfitte nelle elezioni di medio termine, il Sexgate, la guerra nei Balcani e la sconfitta del suo vice alle elezioni del 2000, ed è tutt’ora il politico americano più amato (gli indici di gradimento gli assegnano un 67% di fiducia a fronte del 45% del presidente in carica). Il motivo per cui Bill Clinton è in grado di raccogliere a sé questo immenso patrimonio di consensi e fiducia non risiede nella memoria della sua Amministrazione, bensì nella memoria di ciò che è stata l’America negli anni Novanta, una Nazione in crescita, rimasta sola al comando dei destini del mondo dopo la caduta dell’Unione Sovietica, in cui il famigerato American Dream era più vivo che mai e il cinema di Hollywood poteva descrivere nelle sue commedie quegli scenari sereni e fiduciosi che dagli anni Cinquanta e Sessanta non venivano più riproposti agli occhi del mondo occidentale.

Oggi il compito di Bill Clinton è quello di spingere il presidente Obama verso una riconferma difficile, nonostante quattro anni fa proprio Obama sottrasse la nomination alla moglie ed ex first lady per la quale egli si era speso moltissimo. E’ un compito al quale si è dedicato con fervore forse anche per dimostrare al suo più giovane successore che il vero leader dei Democratici era ed è rimasto ancora lui, il vecchio leone dell’Arkansas, venuto dal nulla per sconfiggere l’invicibile Grand Old Party.
  
A.Turco